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Peiresc, Nicolas-Claude Fabri de - Delle Colonne d’Hercole In Medaglie di Tyro

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Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, Montpellier, 1609/12/20

Peiresc, Nicolas-Claude Fabri de - Delle Colonne d’Hercole In Medaglie di Tyro
FINA IDUnique ID of the page  11199
TitleTitel of the book. Delle Colonne d’Hercole In Medaglie di Tyro
InstitutionName of Institution. Montpellier, Bibliothèque de l’Ecole de Médecine
InventoryInventory number. Ms. 271/1, cc. 11-19r
AuthorAuthor of the document. Nicolas-Claude Fabri de Peiresc
Publication dateDate when the publication was issued: day - month - year . December 20, 1609
PlacePlace of publication of the book, composition of the document or institution. Montpellier 43° 36' 40.46" N, 3° 52' 36.23" E
Associated personsNames of Persons who are mentioned in the annotation. Fulvio Orsini, Hubert Goltzius, Lodovico Compagni
KeywordNumismatic Keywords  Herculean Pillars , Tyre , Gades , Mountains , Carisia , Roman , Gordianus , Caracalla , Septimius Severus , Roman Provincial
LiteratureReference to literature. Goltzius 15661, Orsini 15772, Jaffé 1993, p. 1193, Carpita - Vaiani 2012, lettre n° XXXVIbis, p. 204-210.4
LanguageLanguage of the correspondence Italian
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Grand documentOriginal passage from the "Grand document".

-Montpellier, BRM, Ms. 271/1, cc. 11-19r : Traité sur les colonnes d’Hercule “[f. 133] Delle Colonne d’Hercole In Medaglie di Tyro. Discors o di NF a Monsig.r L.P. Le Medaglie di Tyro nelle quali appresso la figura di Hercole sacrificante ad un Altare sono scolpite due Colonne o Cippi di varia proportione, et tal volta accompagnate d’un Albero mi tennero sospeso un pezzo avanti ch’io mi potessi risolvere totalmente si dovessero rappresentare quelle famose Colonne Hercolee tanto da gli Antichi celebrate, o altro. Ma considerando ch’in tutte le quattro prencipali maniere che si racontava la favola di dette Colonne anticamente, si poteva sempre salvare benissimo la mente de lo scoltore di dette Medaglie; pare veramente che possa bastare in certo modo per superare le difficoltà che vi si trovano. La prima et più favolose (sic) opinione era quella della quale fa mentione Strabone lib. III che fossero di là dall’Isola di Gades, cioè nelle Canarie o Azore, o quelle del Cabo (sic) Verde, o forze (sic) ancora più altre. Di questa fu Platone lo quale nel suo Atlantico [da qui fino alla fine del periodo aggiunto a margine] fa Atlante primogenito di Nettuno, et Gadiro secondogenito, a cui dà per suo appartamento da lui dinominato Gades le estreme parti dell’Isola Atlantica, nominate poi Colonne Hercolée. Dionisio similmente de situ orbis 65 accenna da prencipio che fossero sotto a quel Monte de gli Atlanti ch’egli descrive altissimo, et sempre coperto di nuovole (sic), facendone un gran miracolo, giusto come Maximo Tyrio. Il quale dissert. 38 descrive il Monte Atlante nel fine d’una Isola, come cosa sacra, et divina, adorato et riverito sommamente da que’ popoli Hesperij Lybies insieme con una Valle amoenissima che gli era sotto, piena d’Alberi fruttiferi, et Seve gratiosissime; alle quali (benché scoprissero dalla cima di detto Monte) o non era con tutto ciò lecito, né si poteva arrivare, parte per Religione, et parte ancora per essere il luoco naturalmente inaccessibile, così della banda del terreno, come da quella del mare, dove egli finge non so quali impedimenti mirabili, dell’onde marine inalzatevi dinanzi a guisa di muro. [f. 134] [il seguente periodo è aggiunto in margine] Ma io non vorrei però rimuovermi dell’opinione poi commune, che dette Colonne siano più tosto ne’ Promontori del Distretto ch’altrove; anzi stimarei che la descrittione del Monte Atlante fatta da alcuni un poco conforme a quella di Calpe sia stata forze (sic) caggione in parte di fare confondere l’uno con l’altro; et di fare collocare dette Colonne da alcuni nel Distretto istesso, et da altri nelle Isole di Gades et altre vicine. Quale appunto poteva essere creduto il sito di dette Colonne che d’ella dice Avieno Festo. Horrere Sylvis undique Inhospitasque semper esse Nauticis. Et poi. Nefas putatum demorari in Insulis. Lintschotano [?] parte 2. Navigationum Cap. 5 et gli altri moderni che descrivano le Isole Canarie, fanno mentione d’un Monte altissimo, et quasi sempre coperto di nuvole chiamato PICO de Tarraira chiamata da gli Antichi Ninaria (qui Montium omnium, dec’egli, quos sol videt eminentissimus creditur è medio mari ad milliaria LX conspicuus. Il quale facilmente potrebbe havere dato occasione anticamente alla Favola Atlantica et (se è lecito di far compensatione di una favola con l’altra, ci sa che dal sudetto miracolo di Massimo Tyrio, come se ne durasse ancora per traditione qualche memoria appresso gli Incoli, non venga, ciò che aggionge l’istesso Lintschotano et altri che della cima di detto Monte si scuoprono certi terreni amenissimi d’una Isoleta vicina sempre verdeggiante, et piena d’Alberi et frutti varij, alla quale poi, non si può arrivare con le barche per impedimento delle onde del mare alzate in maniera che la cuoprono tutta, et non la lasciano scuoprire a naviganti, anzi tirano le Navi altrove. Questi (sic) son veramente Favole tutte, ma gli antichi non lasciavano di empirne le loro Monete, et se lo scoltore delle nostre medaglie ci ha voluto haver risguardo, per tal soggetto vi haverà aggionto un Albero in due medaglie, et certe onde del mare in un’altra: anzi se erano in luoco inaccessibile non gli era facile di risolversi se dovessero esser eguali o ineguali questi termini p colonne poste (come dice Dionisio al sudetto luogo)In finibus Herculis. Descrive l’istesso Lintschotano nella Tercera alla Città d’Angra due monti altissimi vicini l’uno dall’altro con certe Colonne in cima, che non s’accomodarebbono forse male alle seddette Colonne [f. 135] Hercolée. Dicono altri ancora che il Capo Verde è un Monte geminato similmente alla sommità, et che l’Isola è di periculosissimo accesso; ma non credi che tutto questo possa essere tanto a proposito com’il resto.La seconda et più commune opinione era che dovessero essere i Promontorij del Distretto, sendo confrmata da infiniti Auttori, ma specilamente da Diodoro Sicolo, che dice nel lib. IV p. 157 che erano i Promontorij del Distretto ampliati da hercole per restringere il passo. Da Dionisio de situ orbis X 5 72 dove gli (sic) le colloca distintamente nell’Europa l’una et l’altra. Nella Libia o Africa da martiano Capella di cui le parole sono gentilissime; Europa Calpe, Africa Abila Monte d’espictz; qui utriumque prominentes dici Columnae Herculis merverunt, quod testimonio vetustatis, laboris Herculei limes in illis sit consecratus: si quidem ultra eum progredi consumtae telluris insuda prohibebunt. Et finalm.te da Festo Avieno il quale parlando dell’istesso Distretto, dice che.Sunt parva poiro saxa prominentia ABYLA, atque CALPE. Calpe in Hispano solo Maurusiorum et Abyla, namque ABYLA vocant Gens Punicorum, Mons quod altus Barbaro est, Id est Latino dici ut Author Plautus est. CALPE quae rursum in Graecia SPECIES CAVAE TERETESQ. Visu nuncupatur et jugi. Onde si vede che appresso i Mauri, s’interpreta secondo Avieno, et appresso i Greci, una veduta di monte cavo et terete continuatamente, il che non è discordante con l’Etimologia ordinaria di tutti i Grammatici, li quali interpretano (LACUNA) et (LACUNA) un vaso o bechiere da metter aqua (sic). Hor se in questa maniera lo scoltore delle Medaglie ha voluto rappresentare quelle Colonne o Promontorij, l’uno in forma di monte, et l’altro in forma di vaso terete, non deveessere meraviglia se si ha talvolta formati ineguali. La terza opinione de gli Antichi era che fossero isolette et della maggior parte che fossero nell’Isola di Gades, et questa fu de gli Spagnoli et Africani appresso Strabone; lascio le altre [f. 136] auttorità perché è cosa triviale. Hor poi che come io le diveco afferma Strabone che le isole per essere definite con un punto si potevano chiamare Colonne, et che altrove s’è adoperato tal locutione per le Isolette del mar Rosso, secondo l’auttorità di Plinio lib. VI cap. 31, non senza raggione saranno state formate dallo scoltore Colonne di tal figura ineguale per representare Isolette diverse di grandezza.Il che si può dir’anco dell’Isola di Gades per ciò che se ben a hoggidì unica, mostra nondimeno d’essere stata divisa per il passato. Di c’è (sic) l’auttorità di molti scrittori Antichi et specialmente di Plinio nel lib. VI cap. 22 dov’egli ci descrive due Isole, l’una maggiore, et l’altra minore; et quella di Strabone, di Cesare, di Philostrato et di molti altri, che ne parlano in numero duale, sendo ancora molto verissimile, che si siano congionte insieme per soccession di tempo, et fatte un’Isola sola, poiché erano oposte (sic) alle boche (sic) di varij fiumi che sogliono condurre quantità di arena, et di limone (sic) a bastanza per far tal congiontione con l’aiutto della violenza del mare, col suo flusso et reflusso. Il che si giudica molto chiaramente da chi vedde la descrittione particolare di detta isola, et del suo sito, et massime quella che stamparono gli Inglesi l’Anno 1597 doppo che l’hebbero expugnata (sic), la quale è fatta con gran diligenza. L’ultima fu che fossero le Colonne di Metallo ch’erano nel tempo di Hercole Gaditano, le quali Strabone chiama di otto braccia d’altezza, et Philostrato nel fine del cap. 1 del lib. 5 de vita Apollonij, dice che dall’altezza d’un braccio in poi (???) erano nel reste (sic) di forma quadrangolare, come le ancudini (sic). Notarò il testo Greco per ciò che l’interprete non mostra d’haverlo inteso quando per questo (LACUNA). Solamente egli scrive, esse autem quadrangulares velut includes, lasciando le parole (LACUNA) le quali €scludano di tal forma quadrangolare l’altezza d’un braccio, o canna di dette Colonna (sic) che potevano essere in quella parte [f. 137] della forma ordinaria delle Colonne, cioè rotunda, quasi s’havesse voluto dire esse autem eas, propter cubitum aut ulnam, cioè da un braccio in poi, quadrangulatae formae velut incudes. Io non so di haver veduto di Ancudini in Medaglie, se non in quella della famiglia Carisia, che l’Orsino rappresenta triangolare, mentre che nelle Medaglie mostra di essere quadrangolare. Par ben che voglia il Goltzio cap. 23 del suo Augusto che siano incugini (sic) certe cose che s’assomigliano forzi meglio ad Altari. Ma so ben che si come i capitelli furono adoperati sopra le colonne, acciò più commodamente sostenessero l’Architrave, così quando non havevano da sostenir alcuna cosa non gli si facevano capitelli; et a questo modo i termini, i cippi, et spesse volte anco le Colonne Milliari, si facevano quadrate nella parte ch’havea da essere sepolta in terra, accio stassero più ferme, restando poi l’altra portione ch’era fuora della terra quasi sempre di forma tonda, o almeno tondeggiata nella cima, vedendosi ancora buon numero in varij luoghi. Hor non c’è dubbio che le Colonne d’Hercole non fossero termini, et così restarà schusata la forma tondeggiata in cima, datagli dallo scoltore nelle Medaglie. Vidi nel libro del sig.re Vincenzo Pittore il dissegno d’una medaglia di Gordiano ch’era appresso il vostro Ludovico Compagno, la quale haveva un Albero da rovescio fra due colonnelle tondeggiate nella sommità loro, et poste sopra due gradi (DISEGNO) con Iscritte (LACUNA). Se V.S. vedesse la medesima Medaglia, et che n’havesse un pronto, se fosse possibile, stimo ch’ella trovarebbe facilmente qualche vestigio del nome di (LACUNA) et forse qualche maggior luce alle altre medaglie con le Colonne, perciò che i gradi possono mostrare prencipio della parte quadrata di dette Colonne, secondo Philostrato, et ancora qualche somiglainza ad incugini (sic). Se pure sonno incigini (sic) quelle cose che dice il Golzio. Del resto poi non sono talmente tonde le Colonne nelle Medaglie, che non sia ancora un poco di piano da ricevere [f. 138] l’Iscrittione mentionata da Strabone et Philostrato, della quale è forse restato ancora qualche vestigio nelle mie Medaglie di Caracalla, o per dire meglio di Antonino Magno, che così è nominato nelle Iscrittioni antichi (sic), fatte doppo morte et appresso nostri jurisconsulti Paulo, Modestino, Marciano, et altri nelle Pandecte; battute in Tyro, l’una avanti che fosse fatta Colonia Romana, l’altra doppo che a Settimo (sic) Severo, et Antonino Magno vi fu condotta et ristorata la Città et fatta Colonia juris Italici. Sì come si comprende prima della Medaglia di Metallo di Settimio Saevero appresso il Duca di Sora nel rovescio della quale si vide l’Imperatore con l’aratro in mano, dietro al paro di bue [sic], con Iscrittione (LACUNA) et poi in mezzo (LACUNA) et poi da gli nostri jurisconsulti Ulpiano et Paulo Dig. De Censib. l. I § 1 et l. VII § 4 sciendum est, inquit Ulp., esse quasdam Colonias juris Italici, et est in Syria Phoenice splendissima (LACUNA) unde mihi origo est, nobilis regionibus serie saeculorum antiquissima, huic enim Divus Severus et Imp. Noster ob egregiam in remp. Eusdem juris Italici, inquit Paulus, et Tyriorum Civitas a Divis Severo et Antonino facta est.Ma sia come si voglia basta che in tutti i modo io tengo sempre si possa accomodar l’Albero delle Medaglie a quello Olivaro di Pimalione tutto d’oro, con i frutti di smeraldo fino il quale era posto nel Tempio di Hercole Gaditano come dice Philostrato ibidem, et rendeva una vista molto vagga (sic) et bella; facendo al proposito ciò che dicono Plinio et Dionisio, che l’Isola di Gades fosse da prencipio chiamata (LACUNA) per l’abondanza de gli Olivastri che produceva. Et quando anco la Corona di Olivaro che si vede in capo [f. 139] di Hercole Tyrio nelle Medaglie, si dicesse essere di quell’Oleastro Olympico, che dice Plin. lib. 16 cap. 44 non restarebbe però potersi accomodare sempre a qualche memoria de gaditano, poiché, come nota Philostrato nel fine del sio Phoenice Heroe, volse Hercole per colmo di sua gloria dedicare in Olympo le ossa di Gerione Gigante da lui amazzato (sic) nell’Isola gaditana, et chi sa che per questa caggione prencipalmente egli non si coronasse di Olivastro, poiché scrivono molti che l’Albero Oleastra era stato portato da Hercole dal paese de gli Hiperborei, li quali benché da varij auttori siano constituiti in diversi luoghi del mondo, scrive Apollodoro 2 che fossero a quel Monte Atlante, che soleva talvolta come ella sa essere confonduto (sic) con le Colonne Hercolee; sendo poi verissimile che i Tirii quando volevano rappresentare le Colonne le accompagnassero delle altre cose che n’erano vicine, cioè dell’Ara, et del Olivastro. Benché non sarebbe impossibile, che sì come nel Tempio Gaditano fondato da i Tirij, si serbavano simolachri di dette Colonne et Alberi, anzi che quel celebre Olivastro era stato mandato da Pigmalione Re di Tiro, fratello di Didone, così in quello di Tyro si fosse anco posto per memoria qualche cosa di simile, alla quale habbia havuto risguardo lo scoltore delle Medaglie, massime trovandosi mentione in herodoto 2 di due (LACUNA) l’una d’oro et l’altra di smeraldo che stavano nel Tempio di Hercole. Dice et di quella di smeraldo ancora in Theophrasto lib. de lapidibus, et in Plinio lib. 37 cap. 5 il quale la chiama (LACUNA) Smeraggo, della cui denominatione si vede che non erano sostegno di parte di la fabrica del Tempio di Tiro, come sogliono essere le Colonne, ma che stavano dritte solamente et che erano più tosto simulachri delle Colonne Hercolee. [f. 140] Parla veramente Philostrato di certi Alberi Gerionei nell’Isola Gaditana, onde stillava sangue, li quali s’assomigliavano al Pino o Picea, ma non tengo che siano così convenevoli a quelli delle Medaglie come l’Oleastro, per ciò che Possidonio appresso Strabone parlando de gli istessi Alberi gaditani che rendevano de la radice un’humore (sic) miniato, aggionge che havevano le foglie longue d’un braccio, et i rami deflessi verso terra, come se gli volessi intendere quelle che i nostri moderni chiamano Fico Indico, la forma del quale non ha che fare punto con quelle delle Medaglie. Ma che dirà V.S. di tante Ciacciare (sic) senza proposito sì mal ordinate, et in soggetto di sì poco momento. Io riconosco il fallo ingenuamente, et n’arrossisco, perdonimi di grazia per sua solita cortesia, che certo quando ho comminciato di scriverne non credevo di doverlene dire la metà, et s’io havessi commodità di copiare questo discorso, o di farlo copiare a personna (sic) che sapesse scrivere in sua [?] lingua, n’haverei senza dubio scancellato et levato via la maggior parte per non esserle tedioso eccessivamente; non so come mi siano venute a mente tante cose. Mi scusi, et mi creda suo. » (Aix-en-Provence ms. 209 (1027), ff. 133-140. Si tratta di una copia: in calce al f. 133 è scritto “Reg. 41.1 pag. 277”. Nel ms. 1809 della Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras c’è una copia non autografa (e leggermente abbreviata nella parte finale) alle cc. 277r-279v e 281r-282r, nella quale Peiresc ha scritto di suo pugno il titolo e il destinatario. Alla c. 280r ci sono appunti autografi di alcune parti del discorso. Il discorso è parzialmente copiato da Esprit Calvet, Avignon, ms. 2349, c. 296r-298r. Parzialmente edito da Jaffé 1992, p. 119; voir Carpita & Vaiani 2012, lettre n° XXXVIbis, p. 204-210).

References

  1. ^  Goltzius, Hubert (1566), Fastos magistratuum et triumphorum Romanorum ab urbe condita ad Augusti obitum ex antiquis tam numismatum quam marmorum monumentis restitutos, Brugis Flandrorum.
  2. ^  Orsini, Fulvio (1577), Familiae romanae quae reperiuntur in antiquis numismatibus ab urbe condita ad tempora divi Augusti ex Bibliotheca Fulvi Ursini, Adiunctis familiis XXX ex libro Antoni Augustini, ep. Ilerdensis, Rome.
  3. ^  Jaffé, David (1993), "Aspects of gem collecting in the early seventeenth century, Nicolas-Claude Peiresc and Lelio Pasqualini“, Burlington Magazine, 135, p. 103-120.
  4. ^  Carpita, Veronica - Vaiani, Elena (2012), La correspondance de Nicolas-Claude Fabri de Peiresc avec Lelio Pasqualini (1601-1611) et son neveu Pompeo (1613-1622), Paris.